martedì 4 marzo 2008

TAVIS/ROEG L’UOMO CHE CADDE SULLA TERRA 1976


Walter Tavis Jr. è uno scrittore che appartiene solo in minima parte al mondo della fantascienza. I suoi romanzi più famosi non contengono elementi fantastici e proprio da due di questi sono state tratte pellicole memorabili: Lo spaccone (The Hustler, 1959), di Robert Rossen nel 1961 e Il colore dei soldi (The Color of Money, 1984) di Martin Scorsese nel 1986. In realtà il protagonista di queste storie, magistralmente incarnato sullo schermo da un Paul Newman, rispettivamente giovane e anziano, non è affatto diverso dal gentile e sfortunato alieno de L’uomo che cadde sulla terra (1963). Che si muovano su scenari realistici o immaginari infatti, i personaggi di Tavis restano sempre e comunque dei perdenti, degli sconfitti, creature fragili che si pongono obbiettivi troppo ambiziosi e ne restano schiacciati: le loro peripezie, spaziali o terrestri che siano, li conducono inevitabilmente alla solitudine e all’amarezza.
La trama di The Man Who Fell to Heart si riassume rapidamente, non è infatti l’originalità dell’invenzione ma la sensibilità e la tenerezza con cui sono tratteggiati i caratteri a rendere grande il libro. Un alieno che si fa chiamare Newton, giunge sulla terra per stabilire una sorta di testa di ponte che favorisca il pacifico e tacito trasferimento in massa degli abitanti del suo pianeta, reso inabitabile dalla mancanza d’acqua. Il tempo per svolgere la missione è strettamente limitato: dovrà ricostruirsi un’astronave e tornare indietro prima che la sete abbia ragione anche degli ultimi sopravvissuti. Per assolvere il compito Newton fonda un piccolo impero economico sfruttando i brevetti di rivoluzionarie tecnologie extraterresti, ma l’alta finanza è un gioco truccato: viene presto identificato e arrestato. Ormai cieco e inerme, scampato a mesi di interrogatori e segregazione, non avrà altra scelta che restare in perenne esilio sul nostro pianeta, stordendosi con l’alcool per non pensare al suo mondo morto.
Il film che Nicholas Roeg trasse nel 1976 dal romanzo, affidando il ruolo dell’alieno a un David Bowie alla prima esperienza cinematografica, si mantiene sostanzialmente fedele al testo originale ma non sa restituirne a pieno il senso dolente di malinconia e fallimento.
Il Newton di Bowie (per altro efficacissimo) ingloba in parte anche la personalità di Ziggy Stardust, il “marziano” che la rockstar aveva impersonato sui palcoscenici fino a pochi anni prima: un eccesso di sex appeal che sbilancia la figura verso i tratti carismatici e gnostici dell’angelo caduto. Il Newton letterario inoltre, nel suo essere una sorta di calamita che attrae disadattati, perché simile chiama simile, rendeva il romanzo quasi corale: il film invece anima solo un protagonista assoluto circondato da poco più che figuranti. Le sfumature e i mezzi toni che fanno la grandezza di Tavis poi, vengono del tutto disattese: ad esempio il rapporto quasi materno fra Newton e la sua governante alcolizzata diventa nel film scoperta relazione sessuale (con una convincente scena in cui l’alieno rivela alla partner terrorizzata le sue fattezze non umane durante l’amplesso).

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