martedì 4 marzo 2008

SITUAZIONISMO: LA LIBERAZIONE DEL QUOTIDIANO


Erede diretto e compimento naturale delle avanguardie storiche, ispiratore dei moti del ’68, il Situazionismo si articola fra il 1957 e i primissimi anni ’70 soprattutto nel pensiero e nell’azione dei dioscuri Guy Debord e Raoul Vaneigem e di un ristretto gruppo di compagni come l’algerino Mustapha Khayati, l’olandese Costant o l’italiano Giuseppe Pinot-Gallizio. L’importanza e la fertilità di testi come La società dello spettacolo di Debord o il Trattato di saper vivere ad uso delle giovani generazioni di Vaneigem o di quelli elaborati sulla rivista L’Internazionale Situazionista resta a tutt’oggi ineguagliata per lucidità di analisi e capacità di fornire strumenti concettuali di lotta perché la vita infine trionfi contro la mera sopravvivenza: l’elaborazione e la pratica del concetto di détournement - un esempio per tutti - rappresenta un punto di partenza imprescindibile per ogni futuro progetto di critica attiva dell’esistente.
Due volumi pubblicati in queste settimane ci permettono di approfondire la questione situazionista e di ripercorrerne la contundente parabola: si tratta di Non abbiamo paura delle rovine: I situazionisti e il nostro tempo di Sergio Ghirardi, edizione DeriveApprodi e I Situazionisti di Mario Perniola, edizione Castelvecchi. Due testi quasi complementari la cui lettura parallela potrebbe offrire un ottimo viatico per incamminarsi lungo i percorsi tortuosi del situazionismo e riflettere sulla centralità e la necessità di questo movimento rivoluzionario. Mentre il volume di Perniola infatti - scritto “a caldo” nel 1972, all’indomani della conclusione dell’esperienza situazionista – si concentra soprattutto sul racconto e l’interpretazione della storia del movimento, quello di Ghilardi, prende spunto invece dalla rilettura delle principali idee-guida che animarono le pratiche situazioniste per mostrarne l’attualità e la fecondità. Marxianamente i situazionisti non fecero teoria ma azione: non cercarono di interpretare il mondo ma ordirono strumenti per cambiarlo.
Resi più affilati dal tempo trascorso in un inconcluso girovagare che non ha condotto alla meta sperata, questi strumenti niente affatto arrugginiti, restano ancora validi e attivi: la rivoluzione della vita quotidiana, la critica della società dello spettacolo, il rifiuto del lavoro – “ne travaillez jamais”, non lavorate mai, era il motto – in nome della creazione; il rigetto della rinuncia e del sacrificio a vantaggio del godimento; l’abolizione dello scambio a favore del dono. “Ce n’a été qu’un début” suonava il vecchio slogan sessantottesco: ma queste mete sono ancora raggiungibili e più necessarie che mai oggi che l’incubo globalizzato del “migliore dei mondi possibili” incombe su tutti con la sua ombra totalitaria. Come scrive Vaneigem nella commovente prefazione al libro di Ghirardi: “Una verità unica è una verità morta, le verità che si cercano sono molteplici come la vita, basta che restino vive”.

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